Versioni del mondo
Nelson Goodman, nato nel 1906, fu uno dei più eminenti epistemologi e filosofi americani del Novecento. Goodman respinge radicalmente la credenza nell’esistenza di quelle che chiama “entità astratte” (le classi, gli universali): il mondo è composto solo di ” oggetti fisici o eventi o di unità di esperienza sensoriale “; i predicati ” che non siano predicati di individui concreti, o che non siano spiegati in termini di predicati di individui concreti ” vanno “respinti”. Quanto alla matematica, considerata da molti (a cominciare da Russell) l’espressione e insieme la prova del darsi di verità autonome e universali, viene interpretata come un mero “apparato” strumentale: le sue formule sono solo ” comodi mezzi per rendere più facili i calcoli “, ma ” non comportano questioni di verità “.Egli respinge quello che altri chiamerà il ” mito del dato “: non esistono “dati” dal significato univoco-oggettivo, in grado per ciò stesso di costruire un fondamento empirico certo per la conoscenza. Così, ancora, egli critica nella stessa prospettiva la distinzione neopositivistica tra “osservazionale” e “teorico“: ogni atto cognitivo è atto teorico in quanto si muove all’interno di un sistema di assunti non empirico-fattuali ma simbolico-concettuali. Sarà tuttavia la riflessione degli anni seguenti, affidata ai due volumi I linguaggi dell’arte (1968) e Modi di fare il mondo, a produrre i risultati che hanno creato il maggior interesse odierno nei confronti di Goodman. In tali opere il filosofo americano ha sviluppato infatti in modo stimolante e radicale alcuni princìpi largamente circolanti nella riflessione contemporanea di orientamento anti-neopositivistico.
1.Il pensiero è una complessa attività conferitrice di senso. Esso è una “costruzione” simbolico-concettuale di forme e di significati : il pensiero opera in modo estremamente libero e “pluralistico”. Esso infatti costruisce i propri concetti (le proprie ” versioni del mondo “, come le chiama Goodman) da un lato in rapporto ai propri fini e interessi, dall’altro in rapporto ai propri contesti e riferimenti categoriali-normativi: anche perché il suo obiettivo è non tanto (o non necessariamente) la “costruzione” della verità quanto quella del senso.
1.La prima tesi
muove dal rifiuto della credenza di alcuni neopositivisti nella possibilità di acquisire dati o esperienze reali indipendentemente da strutture o modelli teorici. Qualunque oggetto del mondo, spiega Goodman, ” non è mai propriamente l’oggetto-a-una-certa-distanzae-angolazione-e-sotto-una-certa-luce; ma è l’oggetto così come noi lo consideriamo e concepiamo, una versione o un’interpretazione dell’oggetto “. Qualsiasi cosa entri nel nostro campo di esperienza è insomma già organizzata all’interno di un determinato ” schema concettuale “.
Una conseguenza di questa tesi è che non si può cogliere un mondo reale in sé, e che dunque le questioni puramente e strettamente ontologiche sono mal poste e irrilevanti. ” Se chiedessi qualcosa intorno al mondo, ciò che mi si può rispondere è come esso compare sotto uno o più quadri di riferimento; ma se insistessi nel chiedere come esso è indipendentemente da tutti i quadri di riferimento, che cosa mi si può dire?
Noi siamo vincolati ai modi di descrizione delle cose descritte. In nostro universo – per così dire – consiste in questi modi, piuttosto che di un mondo o di mondi. ” Una seconda conseguenza della tesi di qui sopra è l’assunzione di una prospettica nettamente anti-realistica e costruttivistica nell’interpretazione del mondo e delle forme o dei sensi che a noi pare di cogliere in esso (non a caso due capitoli dei libri citati sopra si intitolano ” Rifare la realtà ” e ” La costruzione dei fatti “.
Ciò che esiste nel firmamento ad esempio, è solo un insieme infinito di astri. Siamo poi noi, coi nostri modelli e schemi concettuali, a “costellare” in un certo modo il cielo, costruendo dei confini intorno a certi punti piuttosto che intorno a certi altri. E’ bene precisare che oltre a sostenere un radicale antirealismo (ogni mondo è un mondo costruito) Goodman professa un non meno radicale anti-idealismo ; egli respinge cioè la posizione secondo cui la realtà sarebbe null’altro che una versione concettuale.
2.La seconda tesi di Goodman
(quella relativa alla pluralità delle versioni del mondo) consiste nell’assunto che, essendoci tanti modi di costruire la realtà, si danno tante realtà quante sono le nostre versioni.
Si prenda, ad esempio, un uomo. Egli non ha (o non è) una realtà univoca di sé, che un giorno o l’altro una Scienza potrà cogliere in modo oggettivo e definitivo. Al contrario, in sede cognitiva l’essere umano può essere considerato – a seconda delle versioni o degli schemi concettuali in base ai quali noi lo consideriamo – di volta in volta un fascio di atomi, un complesso di cellule, un animale bipede implume, un soggetto socialmente costituito, un amico per il quale provo sentimenti di amicizia e molte altre cose ancora. Inoltre lo stesso mio riferirmi all’oggetto uomo ha molteplici modalità: lo posso denotare, lo posso descrivere, lo posso interpretare, lo posso metaforizzare – e posso fare tutto ciò utilizzando vari sistemi o veicoli simbolici (verbali e anche non verbali, come suoni, figure, modelli, ecc.).
Evidentemente l’idea di un unico mondo (e di un’unica conoscenza) reale è incapace di dar conto della ricchezza e della varietà delle nostre “versioni” di esso, e se a volte non notiamo questa pluralità, ciò accade perché ci muoviamo all’interno di versioni talmente familiari che ci sembrano naturali piuttosto che costruite, uniche/assolute piuttosto che relative.
3.La terza tesi di Goodman
sviluppa idealmente quella di cui si è appena parlato. Se quest’ultima affermava l’irriducibile pluralità delle versioni del mondo, la nuova tesi sostiene l’ inesistenza di una versione oggettivamente più vera , o più “fondamentale” delle altre.
E in effetti, per riprendere l’esempio precedente dell’essere umano, quale delle varie versioni sopracitate di uomo ci dice che cosa l’oggetto uomo è veramente? Ci troviamo palesemente di fronte alla difficoltà di individuare una versione che sia più vicina delle altre alla “realtà”. Il problema è ulteriormente complicato dalla circostanza che le varie versioni sono spesso eterogenee e in conflitto tra di loro. Possono esistere dei modi per conciliarle? Possono esistere, per utilizzare nuovamente l’esempio dell’uomo, delle regole per unificare un animale bipede implume a un amico, o un aggregato di molecole a un soggetto sociale? Per Goodman la risposta a questo interrogativo è del tutto negativa. Anzi, a ben guardare, alcune delle questioni sopra poste sono addirittura improponibili: non si può chiedere quale versione del mondo sia in assoluto più vera in rapporto alla “realtà” perché, come già sappiamo, non esiste alcuna realtà in sé che noi possiamo cogliere oggettivamente, così da farla funzionare come criterio di verifica “pura” delle nostre varie versioni (il che non significa che sia a priori impossibile valutare quale sia la versione più vera non già in assoluto, bensì relativamente a un determinato contesto, a un determinato fine e a un determinato insieme di più regole). C’è da aggiungere che, recuperando e sviluppando precisi motivi pragmatistici , Goodman sottolinea più volte che il criterio di valutazione delle versioni del mondo non può né deve essere necessariamente essere solo quello vero/falso: oltre a tale criterio ve ne sono, anche in sede cognitiva, altri spesso di importanza non minore (i criteri di rilevanza, di efficacia, di semplicità, ecc.). Goldman respinge un altro caposaldo della gnoseologia sostenuta da una parte del neopositivismo e dalla filosofia “scientifica” da Russell a Popper: la teoria delle verità come “corrispondenza” del linguaggio al mondo. In effetti l’obiettivo suggerito da tale teoria è irrealizzabile e fuorviante, non essendo il mondo qualcosa di definibile in mondo oggettivo-univoco ed extralinguistico. Goodman introduce altri criteri di valutazione delle versioni del mondo, a cominciare da quello (nuovamente di ascendenza pragmatistica) di “appropriatezza” o ” congruenza “. Tale congruenza può essere a sua volta “interna” o “esterna”. E’ interna quando riguarda il rapporto tra una versione del mondo e ciò a cui essa si riferisce: da questo punto di vista la celebre proposizione di Tarsky ” ‘La neve è bianca’ è vera solo se la neve è bianca” andrebbe per Goodman ri espressa così: ” ‘La neve è bianca’ è un enunciato vero stando a una certa versione, se e solo se la neve è bianca secondo quella versione” (ossia se è congruente con quella versione).