IDENTITA’&IDENTIFICAZIONE

IDENTITA’ ED IDENTIFACZIONE:

CHI SONO IO ?

QUALE E’IL SENSO DELLA VITA, CHE VALORE HA LA VITA?

Riflessioni attorno all’identità e identificazione

Il concetto di identità inteso nel senso comune, sottintende che un soggetto umano permane identico a se stesso nel tempo, proprio grazie alla sua identità, ma in realtà assistiamo, nella nostra esperienza di vita, a continui cambiamenti. L’identità è alla base della nozione di continuità nel tempo e storicità del soggetto. Per poter supportare questo, è necessario ipotizzare che il soggetto umano, sia costituito da un nucleo sostanziale, infatti parliamo di individuo (che non si può dividere, separare, scomporre). Le modificazioni del soggetto nel tempo, documentate dalle fotografia delle diverse età della vita, sono una serie di variazioni, di mera superficie, mentre il nucleo rimane sostanzialmente lo stesso. Oppure al contrario, si deve supporre un’identità come processo, con un alto grado di trasformabilità, e non una costruzione di struttura salda e immodificabile nel tempo. Comunque in ambedue i casi si impone ,in modo consapevole o non, un lavorio continuo di modulazione e ridefinizione della propria identità. La costruzione identitaria è una funzione dell’apparato psichico che non può fare a meno di un senso di continuità e di coerenza interna. La questione dell’identità si ripropone in maniera urgente in questa contemporaneità, in cui è evidente la crisi profonda delle narrazioni storiche e psicologiche, che determinano una grande incertezza, precarietà, provvisorietà, imprevedibilità, in un contesto ipersaturo di informazioni di ogni tipo, con una conseguente crisi del senso di sé, crisi della continuità del sé. La clinica psicoanalitica evidenzia che molti disagi moderni sono legati alla crisi dell’identità: chi sono e che senso ho, sono domande inserite in un conteso di crisi più ampia, a livello sociale e culturale che annebbia la visone di futuro dell’umano. Se l’Io, componente della personalità, costituito da una serie di identificazioni e per questo alienato, ha una storia che non gli appartiene, nella sua costituzione, perché assomiglia sempre a qualcun altro, fornisce ulteriori elementi di problematicità circa la sua identità. Questo Io estraniato, dovrebbe poi passare attraverso un movimento di dis-identificazione (con un processo di autoriflessività consapevolezza di sé o di autocoscienza), attraverso nuove identificazioni ,maggiormente creative, ad una autonomia o individuazione del sè. Ma il decentramento del soggetto, rispetto alla capacità dell’autocoscienza di estendere il suo controllo, nell’ampio campo dell’inconscio, impedisce alla coscienza stessa per quanto estesa o estensibile, di esaurire e conoscere tutte le possibilità legate alle identificazioni dell’Io stesso. Lacan proprio per questo esautora completamente l’Io, rispetto all’inconscio, tracciando un solco incolmabile fra le due istanze. La realtà, nelle sue molteplici accezioni di realtà materiale (sensazioni corporee, affettive e emozionali), culturale e simbolica (specifico ambiente socio-culturale preesistente al soggetto ) ,è presente contemporaneamente e ognuno deve fare i conti e sviluppare una capacità di assimilare ,sintetizzare, elaborare, costruire una teoria (carattere) dello stare al mondo, privilegiando percorsi maturativi o prevalentemente adattivi o dis-adattivi, difensivi e patologici.

Identificazione (sinonimi : incorporazione, introiezione, interiorizzazione, internalizzazione)

Identificarsi con qualcuno, ha significato di: vorrei essere come…,mentre identificare in senso attivo, diviene un processo conoscitivo, conoscere qualcuno o qualche cosa. Il processo di costruzione della propria soggettività avviene sempre mediante una serie di identificazioni con altri, che contribuiscono a costituire l’identità, attraverso un processo di permeabilità della psiche al mondo. L’identificazione sembra una modalità necessaria, fondamentale, irrinunciabile, fisiologica, costitutiva del percorso dell’umanizzazione dell’uomo, per poi eventualmente sfociare nella capacità di pensare e affermare  un “Io “. Incorporare modelli è alla base della evoluzione culturale dell’uomo, essendo venuto meno il comportamento istintuale; nella civilizzazione, fondamentale è il riferimento ad un adulto, ad un Io in grado di svolgere un ruolo di trasmissione culturale. L’identificazione in tal modo diventa un processo di apprendimento, attraverso l’assimilazione di modelli che sono alla base della capacità di simbolizzazione e dello sviluppo di connotazioni umane. L’identificazione permette di organizzare uno stato di indifferenziazione psichica, essere attraversati da molteplici identificazioni, pone la base di un percorso verso un assetto identitario, ove dovrebbe prevalere un’area di stabilità e di coerenza che denomineremo identità o essere se stessi.

Percorsi psicodinamici

“Imitare per essere” definisce l’identificazione secondo Gaddini, come un primario processo imitativo, in uno stato indistinto, simbiotico del bambino con la madre fusionale-sensoriale, passando poi ad una seconda fase di differenziazione ove l’oggetto viene riconosciuto come distinto da sé, sia come funzione materna che come funzione paterna: l’inter-psichico si trasforma in intrapsichico.

Identità come essere simile a sé

L’identità soprattutto quando è applicata a gruppi diventa una trappola che porta sempre conseguenze negative. Abbiamo visto come la dimensione fondamentale dell’identità sia un processo di identificazione, ossia la permeabilità psichica con il mondo, l’interpsichico che diventa intrapsichico, in un passaggio a doppio senso fra il sé e il noi. Gli esseri umani non possono sopravvivere se non sono inseriti in un “noi”, se non sono riconosciuti da un “noi”. Per il costituirsi come soggetti il riconoscimento è l’elemento costitutivo e fondamentale. L’identità dell’individuo è tale in quanto riconosciuta dall’altro.

Platone nel Simposio, affronta l’aspetto della presunta continuità dell’identità. Diotima nel suo discorso sull’amore, espone come:
”ogni  uomo che vive dice di se stesso che è il medesimo da quando è fanciullo, mentre in realtà perde delle cose, sia nel corpo che nell’anima. I modi di fare, abitudini, opinioni, desideri, piaceri, dolori, paure, non rimangono mai le medesime in ciascuno di noi, ma alcune nascono ed alcune periscono. E questo vale anche per le conoscenze che subiscono la medesima sorte. L’essere sempre il medesimo in tutto è una prerogativa solo divina.”

Il desiderio di permanenza e identità nel corso della vita è una convinzione, un modo di dirsi, che non corrisponde alla realtà della vita, che invece è connotata da rinnovamento, cambiamenti continui e incessanti, sia nel corpo che nella psiche. L’uomo non resta mai lo stesso ad ogni livello, anche se tenta di contrastare il flusso che è in lui, sia nel corpo che della mente, trattenendo con il pensiero, conservando idee e contenuti della propria mente. L’identità sembra rimanere la stessa ma non è identità, il medesimo è somiglianza . Non il restare sempre identico ma immaginarsi tale è ciò che è disponibile all’uomo, in questo modo avviene uno scambio della somiglianza di sé con l’identità di sé. Questo concetto di identità immaginaria trova poi una più ampia trattazione nel pensiero del filosofo scozzese David Hume.(1711-1776). Hume sosteneva che il sé (Self) non è una sostanza dotata di identità che permane nel tempo ma un ”fascio di percezioni differenti”. L’Io è composto da una molteplicità eterogenea, in un flusso continuo di percezioni che cambiano incessantemente, mentre si tende a concepite l’Io come una “identità stabile”, semplice, integra, unitaria, non scomponibile ,come un in-dividuo-indiviso. Ed allora come mai se, sulla base della nostra esperienza di noi stessi, percepiamo il flusso continuo, però ci facciamo un’idea di permanenza e di stabilità? La risposta per Hume è ancora una volta il concetto di somiglianza. L’aspetto diacronico di identità ,in tempi differenti, è spiegabile con il fatto che mediante l’immaginazione tendiamo a stabilire somiglianze tra le percezioni e gli oggetti. Nel tumulto di percezioni, emozioni che si susseguono disordinatamente nel tempo, nel caos delle percezioni, sensazioni, stati d’animo, ecc. non in relazione fra loro, la nostra mente tende a stabilire relazioni, somiglianze, deduzioni che tendono ad avere la supremazia rispetto alle differenze e questo porta alla conclusione che le somiglianze senza differenze, diventano identità. L’Io dunque non è identico a se stesso ma solo simile, per sui similarità e non identità. Concezione che si contrappone ancora una volta all’”individua  substantia” di T. D’Aquino, come entità compatta che trova in sé, la propria ragion d’essere e la propria integrità. Se l’Io è una sostanza individuale, le relazioni sono secondarie e successive e non determinanti per la sua costituzione. Anche per  Marcel Mauss (1938), antropologo, per il quale la civiltà moderna è pervenuta all’idea di un Io come entità unitaria, inscindibile, sacra, completa, indipendente, ad un concetto di individuo non scomponibile, mentre altre civiltà vedono l’Io come un costrutto sociale, plastico e malleabile. Lous Dumont (1966) distingue il concetto sociale di persona, tipico delle società pre-moderne, dal concetto di persona, fondato sull’idea di individuo, della società moderna. Anche per Dumont l’essere umano è l’uomo indivisibile, sottoforma di essere biologico e allo stesso tempo soggetto pensante per cui inserito in un ambito culturale che lo determina. L’individualismo è un’ideologia che confonde l’ideale (persona come monade, distinta e persino opposta alla società) e il reale, in cui la società concepita dall’individualismo non è mai esistita. Le ricerche antropologiche confermano che la persona è un prodotto relazionale: la persona non coincide con l’individuo a sé, ma con l’intreccio di relazioni in cui è inserito. L’Io è un aggregato sociale, intricato relazionalmente, essere umano uguale essere sociale. L’Io è una città (B.Pascal), una repubblica (D.Hume),un assemblea di anime (secondo la teoria dei medici filosofi francesi, T.Ribot,P.Janet,A.Binet).

Il soggetto si può pensare non in termini di identità ma di somiglianza, non in termini di sostanza ma di processo, non in termini di individualità ma di di-vidualità. Ma l’identità sembra una necessità dell’essere umano, questa perché attraverso l’identità si compie un processo di soggettivazione (so chi sono),che riduce la complessità, scegliendo o adottando strutture psichiche più semplici, con cui orientarsi nel cammino nel mondo; una seconda necessità è quella di creare una certa coerenza, che implica una riduzione dell’imprevedibilità ed eterogeneità della realtà, ed in ultimo una continuità sul piano diacronico che permetta di collegare diversi tipi di prestazioni, azioni, decisioni  che il soggetto ha compiuto  nell’arco della sua vita, per poter accedere ad una definibilità del soggetto ed una riconoscibilità verso se stesso e verso gli altri. Tutto questo conferisce pure al soggetto un carattere di irrepetibilità e quindi una propria distintività. Il concetto di individuo viene ancora messo in forse anche dalla biologia; la nozione biologica di individuo, sembra stabilire che la simbiosi è il principio base della biologia contemporanea. gli organismi animali, composti da diverse specie, vivono, si sviluppano ed evolvono insieme, rendendo sfumati i confini tra organismi, privilegiando la cooperazione fra le specie. A livello psicologico il problema è come possono convivere tutte queste istanze che compongono l’Io, senza precipitare in una sindrome dissociativa.

Daniel Dennet ( 1942) ha studiato soggetti con personalità multipla: un singolo corpo, abitato da molti sé, ognuno con nome proprio e una propria storia. La conclusione sembra che, gravi traumi infantili hanno determinato una grave dissociazione. L’esperienza traumatica, ha creato la necessità di dar vita a sé, nettamente diversi con storie diverse, per poter rimuovere, segregare  il dolore e l’orrore che altrimenti avrebbero devastato l’intera personalità. Ecco che l’identità fornendo coerenza fra le esperienze del sé, continuità, storicità, diventa uno strumento anche se immaginario, per poter interpretare il groviglio di contenuti e percezioni, facendo diventare i ”grovigli”  appena un po’ ordinati (Butler,2013).

Inoltre non si può separare lo sviluppo personale (Erikson,1968) dalle trasformazioni che avvengono nella comunità, come pure le crisi personali di identità e le contemporanee crisi dello sviluppo storico, socio-culturali, che tendono a definirsi a vicenda. Infine l’uomo che si distingue sul piano genetico, nel Dna, dagli scimpanzè per una piccolissima differenza, ma questa differenza è sufficiente a determinare differenze fondamentali circa il peso della cultura, del pensiero e del linguaggio, che ci allontanano enormemente dai nostri fratelli non umani.