LA FELICITA’

LA FELICITA’

LA FELICITA IL MITO DELLA NOSTRA CONTEMPORANEITA

”Sopra la felicità non si può fondare un etica, come molti pretendono” Gustavo Bueno,filosofo.

E’ vero che possiamo essere felici?

Il termine felicità suscita attenzione, è sulla bocca di tutti, alimenta una letteratura dell’auto-aiuto, con molti libri: i lettori possono essere felici perché c’è un cammino verso la felicità ,solo che tu non sai. Non solo ma,il buffo è che  la biografia della singola persona non corrisponde mai alla teoria della felicità. La felicità riguarda sempre qualcun altro, anche da bambini solo nelle favole si diceva …e vissero felici e contenti.

Dio è morto disse Nitszche, ed è per questo che siccome non possiamo sperare nella felicità eterna, per lo meno cerchiamo di ottenerla in questa vita. Kant è l’artefice del fatto di aver elevato la felicità a categoria filosofica, separandola dalla virtù, come era nei tempi antichi, sostenendo che la felicità è una legge della natura. Infatti  questa idea di felicità è abbastanza recente.  La felicità è il destino dell’uomo: altrimenti perché vivere?

La felicità del passato era un mito dei plebei che la utilizzavano come un’ideale nei confronti dell’aristocrazia, ritenuta felice, un privilegio di pochi. L’idea di felicità è sempre cambiata a seconda delle società e delle epoche e delle classi sociali. Nella modernità è un ideale di vita che spinge una grande quantità di persone a cercare la felicità. La felicità è un diritto come dice la costituzione americana. Per cui felicità in senso politico, come democrazia, libertà, fraternità, solidarietà. Vi è poi l’accezione di felicità in termini poi biologici, per cui terapia della felicità, ricerche sul cervello, delle aree che danno piacere, droghe, farmaci. Felicità psicologica dello stato fetale, interrotta dalla infelicità della nascita, rimediata dalla presenza della madre.

Per Orazio la felicità era ”Beatus ille qui procul negotiis”, per Epicuro è la vita etica e non del piacere che dà felicità, per Seneca l’allontanamento dalle passioni.

Una volta la felicità consisteva nel fare bene il proprio dovere attualmente consiste nel seguire il proprio desiderio, solo che sapere quale sia il proprio desiderio e prendersene la responsabilità è molto arduo. Molti desideri sono prodotti e indotti culturali. In questo modo veniamo intrappolarti in un circuito che pretende  che ci impegniamo per ottenere questo obiettivo, irragiungibile, che si chiama felicità. Siamo vittime di una vera e propria tirannia della felicità che cerca di negare esperienze umane comuni come la noia, la tristezza, il dolore o il fallimento.

Il sistema capitalistico a cui apparteniamo cerca in tutti i modi di fare corrispondere l’idea di felicità con il possesso di beni materiali, possibilmente sempre diversi e nuovi, nell’eterna illusione che possedendone qualcuno o più di questi saremo felici. La seconda modalità, meno evidente, ma più subdola, dando per scontato il fatto che  siamo  noi gli artefici della nostra felicità e i primi responsabili, si presenta con l’ossessione del benessere psico-fisico, l’auto aiuto, corsi di coaching, tecniche meditative e varie altre attività che periodicamente diventano di moda. In passato la felicità non era considerata un obiettivo raggiungibile ma consisteva nel essere in sintonia con i valori della società, era vista come caratterizzante le classi sociali più elevate. La realizzazione di sé un altro mito del nostro tempo che si regge su due termini confusi, vale a dire cosa significhi realizzazione e cosa sia quella cosa che tutti chiamiamo sé.

L’idea di felicità ha una struttura equivoca, confusa con molte accezioni, disconnesse fra loro. E’ una idea ambigua, come l’idea di anima, di fraternità, di pace perpetua.

La felicità a volte viene identificata con i piaceri del corpo, come diceva Eraclito:anche i buoi sono felici quando trovano l’erba da mangiare; Aristippo proponeva un’idea di felicità come sensazione di benessere del momento .Concetto molto presente nella nostra cultura. Basti pensare al machaco con un elettrodo nell’ipotalamo che spingendo una leva si procura uno stimolo piacevole: il machaco muore di fame e di sete perché tutto il giorno è occupato ossessivamente a pigiare la leva.

La felicità come eudaimonia: realizzare il tuo demone

Oppure felicità  nell’esperimentare il subkime: fuori di limite, su terreni non accessibili, come nella contemplazione, nel rapimento mistico per cui felicità nel sentirsi esseri eterni o vicini a Dio, un’ esperienza puramente immaginaria.

Come sostiene il filosofo Javier Gomà,”il concetto di felicità come un completamento di un fine è impossibile nel soggetto moderno, come era nel passato dove era sufficiente realizzare la funzione che si aveva nella società, nella famiglia per essere felici per tutto il resto della vita. Per Gomà la felicità andrebbe sostituita con il concetto di “dignità”.

Sotto il concetto di felicità vi sta il mito della vita perfetta, realizzata, della vita piacevole, uno stato d’animo sereno e perenne, idee che sono l’estensione di una concezione romantica della vita.

Ecco allora l’altra versione di felicità: il benessere, determinato dalla capacità di gestire le proprie emozioni: è tanto importante ridere, come piangere, sentire la tristezza, l’ansia, ecc.

L’uomo tende naturalmente al piacere allontanando quello che non gli piace.

Interessanti i sei parametri proposti in uno studio di dell’università di Harvard per la felicità:

1.dar valore all’amore

2.dare importanza alle relazioni amicali e familiari

3.non abusare di alcolici

4.non dare troppo peso al denaro

5.essere ottimisti

6.non cadere nell’impero della felicità

 

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